Chi lo avrebbe mai detto. La Lazio di Sarri capace di governare un derby elettrico, quasi esclusivamente basato sulle provocazioni, sulle spinte i gialli i falli e i rossi – decisivo quello di Ibanez (idolo della Nord, che gli ha dedicato più di un coro) nell’indirizzare una partita che sembrava pendere dalla parte della Lazio anche in undici contro undici, per atteggiamento offensivo e predominio del campo. L’assenza di Mou in panchina, hai voglia se non si è fatta sentire. In partite come questa, avere o non avere il demiurgo del caos, il sovrano dell’entropia, cambia davvero tutto. A Roma, ieri, c’era un’atmosfera strana. C’era quel silenzio che precede il rumore sordo della guerriglia urbana, si sentiva nell’aria l’odore acre dei fumogeni e l’impazienza di una città pronta ad implodere. C’era, per dirla altrimenti, un vero clima derby.
Sarri, allenatore di campo prima che di piazza, ha dimostrato di essere cresciuto anche sotto questo profilo. Ha scansato con riverenza somma il paragone fattogli a Dazn con Maestrelli (uno dei suoi riferimenti in panchina da quando era ragazzo), dichiarando con umiltà la sola volontà di entrare nel cuore del popolo laziale. Che piano piano sta imparando a conoscerlo, comprenderlo ed amarlo. Anche perché Sarri, burbero quanto si vuole, sa come modellare una squadra a suo piacimento. La Lazio ieri non ha mai perso i nervi. Ha giocato la sua partita consapevole di avere più qualità a centrocampo e sugli esterni, con un Zaccagni (autore del gol) indemoniato dalla parte di Mancini e Zalewski sulla zolla laterale del campo.
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