Dal “caso falconiere” alle delusioni in campo (due settimi posti di fila, quest’anno perdendo il treno europeo dopo 9 stagioni consecutive sotto le stelle), dai tantissimi proclami (sul fronte Stadio, sul “progetto giovani” - ma la Lazio è la rosa più vecchia del campionato dopo l'Inter) alle tristi realtà di fatto (mercato bloccato, comunicati contraddittori o dai toni epici dopo un pareggio, prese in giro all’allenatore, necessità di vendere: in una parola caos totale), non c’è pace per i tifosi della Lazio.
Ma forse, come nella gravità della tempesta si fa strada, tra le nuvole, uno spiraglio di luce, qualcosa in cui sperare ancora c’è. Più che qualcosa qualcuno: Maurizio Sarri, che ieri sera si è (ri)presentato alla stampa come (nuovo) allenatore del club.
La sua figura è decisamente ingombrante nel contesto desolante che lo ha richiamato al lavoro – dove il richiamo, si badi bene, va inteso nel duplice senso attivo e passivo: Sarri è stato richiamato da Lotito, ma ha lui stesso sentito il richiamo dell’ambiente Lazio, come sottolineato a più riprese anche ieri.
«La Lazialità ti invade. I tifosi oggi giustamente si incazzano (per il blocco relativo al mercato, ndr), ti criticano, ma poi alla fine son lì. Questo significa essere laziali. È uno dei motivi per cui sono tornato in questo ambiente», insieme – ha poi aggiunto – all’affetto umano per il presidente, il direttore sportivo, lo staff, lo chef, tutti coloro che abitano (a) Formello – compreso lui, che prima dormiva praticamente accanto ad Olimpia, l’aquila vittima dell’esibizionismo del falconiere Bernabè . . .