giovedì 13 luglio 2023

Sergio, a cosa servono le parole?

 

Diceva Roland Barthes in un memorabile saggio sulla fotografia (La camera chiara, Einaudi 1980) che essa 'è violenta: in essa niente può sottrarsi [al tempo] e neppure trasformarsi [col tempo]' (p. 92); 'la fotografia mi dice la morte al futuro' (p. 96). Questo proprium della fotografia riguarda qualsiasi foto, da quella più triste a quella più gioiosa, ma è in queste ultime che la misura si fa colma, la tristezza riempie i ricordi e lascia spazio alla Saudade. Vedere questa foto dell'arrivo di Sergej Milinkovic-Savic (ormai otto estati fa) all'aeroporto di Fiumicino è una coltellata al nostro cuore di tifosi. Nell'abbraccio di quella bimba c'è già l'amore corrisposto che i laziali e Milinkovic si sarebbero vicendevolmente donati nel corso di otto lunghe stagioni. Più dei successi (due Supercoppe e una Coppa Italia, tanti derby memorabili, vittorie contro le grandi del nostro calcio), dei gol (Sergio è lo straniero più prolifico della nostra storia) e degli assist (alcuni, di tacco per Immobile ad esempio, indimenticabili), il mio ringraziamento al Sergente è tutto di natura umana: ha sempre parlato poco, ma bene. Si è preso i fischi di uno Stadio sempre molto esigente nei suoi confronti, e ha risposto lodando quei tifosi che lo contestavano, col sorriso, i gol e una classe unici. Da oggi l'al-Hilal ha un tifoso in più: milioni di tifosi in più. La fotografia ferma il nostro tempo, ma non può fermare il tempo. Su questo Barthes si sbagliava: l'amore è dinamico, e resiste alla materia.

Un muro di braccia al cielo: questa è la mia Curva

Citando il grande Runa Casaretti, custode della Lazialità come pochi altri, le bandiere forse andrebbero sventolate all'inizio e alla fi...