

Un azzurro luminoso, quasi fluorescente, si fonde al grigiore intenso delle nubi che sorvolano l'Olimpico, la sera della partita: Lazio v Viktoria Plzen.
Mentre qualcuno, con coraggio, accende il telefonino per impostare le 'notifiche' su Athletic Club v Roma, dalla Curva Nord appaiono, a 15 minuti dal fischio d'inizio, quattro striscioni alla vecchia maniera. La carta utilizzata per realizzarli è di qualità, perché per noi laziali, con Kierkegaard, nulla ethica sine aestethica rimane un aforisma vero. Le parole sono di D'Annunzio, e presto lasceranno il posto all'unico grande messaggio ai piedi della Nord: respiriamo il nostro orgoglio. Quale? Quello di chi ha pagato per i suoi errori, di chi conosce i propri sbagli - ecce laziale - ed è pronto a ripartire più gagliardo di prima, perché senza la tempesta l'equipaggio non può dire d'esser davvero tale.
Dall'altra parte, a Bilbao, c'è chi subirà una sconfitta delle sue, quella di chi proprio perché non ha mai dovuto affrontare la tempesta, protetta dai mangiafuoco della stampa locale e nazionale, asservita ai potenti di turno per nascondere la polvere - il sudiciume - sotto al tappeto, non sa neanche come si vince, quelle rare volte in cui accade. In Italia può andarle bene, spesso le va bene, all'ultima squadra della Capitale: in Europa, però, si gioca a calcio, e basta. Ricordiamocelo sempre, chi siamo: la prima squadra della città, l'etica sportiva di Roma, la Società Sportiva Lazio.
Coraggio laziali, alziam le bandiere. Il futuro è nostro. Respiriamo il nostro orgoglio.
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