


Stefano Mauri con la Coppa. Sopra, da sinistra a destra: il pianto di Totti fuori dalla Tevere; gli eroi del 26 maggio sfilano intorno al prato dell'Olimpico; la Nord omaggia Stefan Radu
Chi l'avrebbe mai detto, dannazione. Secondi in classifica a una giornata dal termine. Nel frattempo è arrivata la birra, e sono partiti i primi cori - tutti rigorosamente politically correct. Le cameriere ci sorridono per la disperazione, o forse perché il caldo e i fumi sollevati da carne, sigarette e grida disumane hanno portato i neuroni ad uno stato di entropia fin lì mai sperimentato. Faceva davvero caldo, ieri, allo Stadio Olimpico. Ma fuori, da Luciano, dalle 15 (post-pranzo e quindi post-amari) alle 16, il tempo è volato. Persone normali sarebbero svenute, noi abbiamo cantato più forte ancora. Con le braccia al cielo e l'indice in direzione del Maestro, come alle 17.55 a pochissimi minuti dall'inizio della partita. Prima c'è stato spazio e tempo per gli eroi della Coppa in Faccia.


L'ennesima prova indelebile della Tevere. A fianco, sfilano i nostri ragazzi secondi in classifica
C'era Miro, poi durissimo in zona mista con Tare (si gode forte!), c'era Sant'Antonio da Candreva, al quale abbiamo dedicato un coro, da lui corrisposto con un grazie sincero e ricolmo d'amore. C'era Senad, ovviamente, al quale la sua gente e suo fratello Stefan Radu hanno riservato un'accoglienza degna, laddove la società non aveva mosso un dito. Lo ha fatto, stavolta. Lo sta già facendo, a livello di comunicazione. Ieri è stata quindi la giornata della speranza: speriamo, per una volta, che non sia solo l'illusione del caldo estivo, che con sé porta gioia, fatica e futuro. E rinfocola un amore che - da più di cent'anni, cantavamo - non s'è mai perso. La partita (vinta 3-2, con doppietta di Sergio e malinconia annessa) è stata solo la felice conseguenza di una giornata memorabile, chiusa con le lacrime di chi da forestiero è diventato uno di noi, come e più di noi: Stefan Radu, naturalmente. Si può smettere di giocare a calcio, ma non si può smettere mai di essere laziali. Anche Sarri, con quel saluto sotto la Nord a fine partita, lo ha testimoniato.
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