Non passa giorno, partita, mese, gioia o delusione, che Maurizio Sarri non diventi un po' più laziale. Dalle dichiarazioni su Maestrelli e il Flaminio - che basterebbero da sole a definirne la caratura morale e spirituale - a quelle di ieri sera, dopo un derby vinto con tenacia, fatica, lazialità:
"Oggi l’aspettò più importante è aver fatto felice il nostro popolo. L’obiettivo di questo derby era questo. La partita l’avevamo preparata con le uscite dei difensori della Roma in pressione. Volevamo attaccarli con gli attaccanti esterni. Il match non è stato di altissimo livello, ma vibrante, dispendioso di tante energie fisiche e mentali. Bella sicuramente da vedere. I miei due centrali sono stati bravissimi, soprattutto nel finale con le palle alte".
Partiamo dalla fine: Sarri parla di partita bella da vedere. Sembra la frase di un pazzo, ma è la pazzia di una persona talmente lucida da risultare folle a chi ragiona con categorie prestabilite. Lo avevo scritto in un articolo più approfondito qualche tempo fa: il sarrismo non esiste, è una narrazione costruita dallo storytelling; Sarri però esiste eccome, ed è non solo uno dei migliori allenatori in Italia (al suo livello attualmente in Serie A solo Spalletti e Pioli) ma anche e soprattutto una persona di grande cultura, capace di spaziare - è difficile capirlo, per molti - da un linguaggio terra terra e strapaesano (bellissimo comunque) all'Utopia di Eduardo Galeano, uno dei massimi esponenti della letteratura del Novecento.
Sarri quando parla di bellezza non ha in mente l'estetica pura: perché l'estetica è nulla senza l'etica. Ieri la Lazio è stata grande soprattutto in questo: è stata splendidamente solida, meravigliosa nella sua armonia interna, commovente nella sua tenacia; lucidissima (Cataldi, ti vogliamo bene) nelle sue letture e nella pulizia in mezzo al campo, ma anche cattiva (Romero, Romagnoli, Casale, Marusic) quando serviva.
L'aspetto più importante d'altra parte era questo: ribaltare i favori del pronostico, rendere grazie ad una storia che ci vuole padroni di questa città, da sempre. Senza rimettere la chiesa al centro del villaggio, perché la chiesa è un luogo dell'anima, non dell'architettonica capitolina. SP9R. Chi sa ride, come Radu. Chi non sa, si merita le coreografie pagate dai re del pop-corn in salsa Superbowl. Il calcio però lasciatelo a noi, che in questa città lo abbiamo portato.
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